La velocità teorica di una barca che naviga a regime dislocante può essere calcolata secondo le seguenti formule: 2.45 x √ lunghezza al galleggiamento in metri = velocità in nodi oppure 1,34 x √ lunghezza al galleggiamento in piedi = velocità in nodi Da ciò si avrà per esempio che un Hallberg-Rassy 352 con lunghezza al galleggiamento di 8,54 metri (10,59 fuori tutto), avrà una velocità teorica massima di 7,1 nodi. Nel 1900 le regole di progettazione per le imbarcazioni di Coppa America erano incentrate sulla lunghezza al galleggiamento dello scafo. Pertanto i progettisti si cimentarono a disegnare grandi slanci a prua e a poppa in modo tale che quando la barca si inclinava, aumentasse la lunghezza al galleggiamento e di conseguenza la sua velocità. Una lunghezza massima maggiore consentiva inoltre di disporre di un piano velico maggiore. Accadeva così che una barca con lunghezza al galleggiamento di 25 metri e lunghezza massima di 38, poteva navigare una velocità massima teorica di 12.2 nodi quando in assetto orizzontale e di 13.6 nodi quando inclinata. Velocità critica Cosa si intende per velocità critica? Velocità massima Ci si chiede: ma allora, non è possibile superare tale velocità critica?
Ovviamente non è una condizione oltre la quale lo scafo subisce danni irrimediabili! :-)
Si tratta invece di una misura che ha a che fare con le leggi della fisica, in particolare della fluidodinamica.
In breve, su uno scafo a vela agiscono (almeno) due forze principali: la portanza che genera l’avanzamento ed è data dall’azione del vento sulle vele, e la resistenza che è invece una forza contraria all’avanzamento ed è data dalla resistenza/attrito dell’acqua.
Finché la propulsione generata dalle vele è maggiore della resistenza, la barca avanza ed aumenta di velocità con l’aumento della propulsione.
Questo accade fino a un certo punto, oltre il quale l’aumento della forza propulsiva non dà luogo all’incremento di velocità perché nel suo avanzamento lo scafo genera una sorta di "depressione a poppa che sostanzialmente risucchia l’imbarcazione".
La teoria, ma soprattutto la pratica, ci dice che ogni imbarcazione avanzando produce una prima onda in prua ed una seconda a poppa.
Ora poiché sappiamo che un’onda si propaga con una velocità che dipende dalla distanza tra due creste successive, uno scafo dislocante (una barca a chiglia immersa) non può avanzare ad una velocità maggiore dell’onda che crea.
In altre parole lo scafo rimane "intrappolato" nel cavo della propria onda.
Tranquilli, si può fare e non è necessario barare dando tutto motore!
Succede che in determinate condizioni la barca "parte in planata", come si dice in gergo: alle andature portanti con vento forte e l’onda che ti spinge da dietro la barca si "solleva" quasi dall’ acqua svincolandosi dal risucchio dell’onda di poppa.
Infatti in planata lo spostamento di acqua è minimo, perché lo scafo scivola senza produrre onde rilevanti e quindi la velocità critica viene facilmente superata.
In pratica lo scafo si comporta più o meno come una gigantesca tavola da surf, soggetto alla sola resistenza generata dall’ attrito con il pelo dell’acqua e riesce a raggiungere velocità anche sensibilmente superiori a quella critica.
Per questo i moderni scafi vengono progettati sempre più piatti e larghi.

